Le retribuzioni previste dai Contratti Collettivi “maggiormente rappresentativi” non sono garanzia di retribuzione ”proporzionata” e “sufficiente” ex art. 36 Costituzione.

La sentenza della Cassazione 27711/2023, pubblicata il 2 ottobre 2023, interviene in materia di determinazione sindacale dei minimi retributivi, confermando e precisando un orientamento giurisprudenziale già noto.

Anzitutto, i giudici ermellini ricordano che l’art. 36 della Costituzione garantisce al lavoratore «due diritti distinti» che si integrano a vicenda: il primo garantisce una retribuzione “proporzionata” alla quantità e qualità del lavoro prestato (principio di carattere generale); il secondo, invece, stabilisce una retribuzione “sufficiente” che non può andare al di sotto degli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo (limite negativo, invalicabile in assoluto).

I giudici confermano che, per naturale vocazione, la contrattazione collettiva è la sede più idonea a realizzare le istanze sottese ai concetti istituzionali di sufficienza e di proporzionalità e, dunque, a determinare una retribuzione rispettosa dell’art. 36 della Costituzione. Tuttavia, ciò non garantisce che la retribuzione determinata in sede di contrattazione (anche quella “comparativamente e maggiormente rappresentativa”) sia conforme all’articolo 36 Cost.: il giudice, in ultima istanza, può e deve sempre verificarne la rispondenza.

Nell'ambito dell'operazione di raffronto tra il salario “di fatto” (stabilito dal CCNL) e quello “costituzionale”, infatti, il giudice non può sottrarsi a nessuna delle due valutazioni: il salario deve sempre rispettare il criterio generale della “proporzionalità” ed il limite negativo della “sufficienza”.

In tale ottica, il livello Istat di povertà può aiutare ad individuare, sotto il profilo della retribuzione “sufficiente”, una soglia minima invalicabile. Inoltre, in virtù dell'integrazione del nostro ordinamento a livello europeo ed internazionale, l'attuazione del precetto del giusto salario costituzionale è divenuta un'operazione che il giudice deve effettuare considerando anche le indicazioni sovranazionali e quelle provenienti dall'Unione Europea e dall'ordinamento internazionale (in particolare, si cita la recente Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022).

Con la sentenza in commento, dunque, la Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Torino, la quale aveva ritenuto che nell'attuale sistema contrattuale «vanno esclusi dalla valutazione di conformità ex art.36 Costituzione quei rapporti di lavoro che sono regolati dai contratti collettivi propri del settore di operatività e sono siglati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale».

La sentenza della Cassazione si spinge, infine, anche ad una valutazione sull’ipotetica introduzione di un salario minimo per legge: proprio per i motivi sin qui enunciati, risulta chiaro che «una legge sul "salario legale" (…) non possa realizzarsi attraverso un rinvio in bianco alla contrattazione collettiva».

 Scarica qui il testo integrale della sentenza. 

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